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- Bre-VE

- 24 ott 2022
- Tempo di lettura: 3 min
๐ฆ๐ข๐๐ข ๐ฆ๐ ๐ฉ๐๐ก๐๐ญ๐๐ ๐ ๐จ๐ข๐ฅ๐ ๐ฃ๐ข๐ฆ๐ฆ๐๐๐ ๐ข ๐๐ข๐ก๐ง๐๐ก๐จ๐๐ฅ๐ ๐ ๐๐๐ฅ ๐ฃ๐ข๐๐๐ ๐๐๐๐
Da quando lโumanitร ha cominciato a vedere il mondo rappresentato per immagini in movimento su uno schermo bianco, ha imparato anche a seguire una certa sequenza del racconto. Qualcosa di realistico, educativo, poi una storia, infine la comica finale. Tra Ottocento e Novecento si รจ chiamato cinema, ma nel corso del secolo i mezzi sono cambiati; รจ arrivata la televisione, poi internet. A quel punto il format iniziale qualcuno lโha chiamato storytelling, narrazione. Ma la sostanza รจ quella: come si comincia, come si prosegue e come si finisce il racconto visivo. Allโinizio si cominciava e si finiva lรฌ: cโera chi riprendeva e mostrava scene di vita quotidiana. Chi, per un inciampo della pellicola, aveva scoperto che poteva raccontare anche storie dove sparivano e apparivano le persone o le cose. Si potevano perfino tagliare le teste e farle diventare delle note musicali. Poi per motivi economici e per le evoluzioni tecniche il racconto si รจ allungato. Si poteva far durare lโintrattenimento piรน di qualche minuto e si poteva guadagnare di piรน aumentando il prezzo del biglietto. Dallโinizio del secolo il cinema ha percorso almeno due strade parallele: una che ha portato al racconto lungo, unโora o un paio dโore, come una recita teatrale o lirica. Lโaltra al racconto piรน sincopato. Nessuno di questi due format รจ stato mai abbandonato. Il film lo conosciamo tutti. Il format rappresentativo โ la narrazione della realtร โ invece รจ piรน sotterraneo ed รจ diventato parte integrante del nostro racconto quotidiano attraverso la televisione. Agli inizi una โserata al cinematografoโ consisteva in una scansione di brevi filmati. Dapprima una scena di vita reale. Poi un raccontino breve, educativo, magari una recita di qualche minuto ispirata a un classico della letteratura e infine uno sketch, una โcomica finaleโ. Eโ quello che ci rifilano ancora oggi quando guardiamo un telegiornale. Apertura con lโattualitร e la politica, poi qualche vicenda di carattere sociale, economico, infine una servizio leggero tra costume, spettacolo e ilaritร . Ogni giorno, piรน volte al giorno, milioni, se non miliardi di persone guardano questo tipo di racconto della realtร . Non importa cosa guardiamo: il racconto consiste nel format non nel contenuto. Le cose si mettono male. La realtร รจ difficile. La societร reagisce, fa e disfa. Ma alla fine tutto va bene. Non รจ stato cosรฌ anche con la pandemia: โtutto andrร beneโ. Saluti. Grazie per averci seguiti. A domani. Avviene cosรฌ anche per Venezia. Dal secondo dopoguerra si รจ imposta una narrazione della cittร che ha pervaso anche la ricerca scientifica oltre che il racconto quotidiano da bar. Ma per Venezia tutto andrร male. La cittร lagunare รจ diventata la cittร che muore, non dove si muore. La morte a Venezia รจ diventata la morte di Venezia. Una morte che si annuncia ogni anno e che si rimanda ogni anno, per tanti motivi. Perchรฉ gli abitanti decidono di andare a vivere in altre cittร piรน โcomodeโ o perchรฉ case, palazzi e monumenti cadono a pezzi come raccontava Indro Montanelli o perchรฉ lโacqua alta se la divora, ma se la divorano anche i turisti o gli studenti o i pendolari. E ogni previsione di morte viene dimenticata nei decenni successivi a favore di ulteriori previsioni ancora piรน drammatiche e definitive nei decenni a seguire. La narrazione รจ sempre la stessa: chiari segnali di malessere se non veri e propri sintomi di decesso. Spopolamento, cambiamenti climatici, inerzia politica e amministrativa, scarsitร di risorse. Ognuno di questi sintomi ha tante diagnosi e tante possibili cure. Ma la narrazione resta sempre la stessa: il finale, che tiene in piedi tutto il racconto, contempla soltanto โla morte di Veneziaโ. Senza questo finale tragico non reggerebbe nessuna narrazione intermedia. Il racconto non stare in piedi. Non importa se poi dal secondo dopoguerra ad oggi lo spopolamento รจ sรฌ continuato, ma molto, molto rallentato. Ad esempio dal 1951 al 1971 Venezia ha perso oltre 70 mila abitanti. Negli ultimi ventโanni, dal 2001 al 2021, ne ha persi circa 17 mila. Questo dato significa qualcosa oppure la narrazione della morte di Venezia non lo contempla? Dallโacqua alta del 1966 ad oggi sono stati stanziati per la salvaguardia di Venezia circa 15 miliardi di euro. Ha avuto qualche effetto questa pioggia di denaro fluita tra pubblico e privato? La cittร รจ stata amministrata, nel tempo, da giunte comunali di destra e, soprattutto, di sinistra. Qualcuno รจ responsabile di qualche decisione sbagliata o portatore di qualche decisione che si รจ rivelata corretta? Negli anni sessanta cโera chi sosteneva che la cittร non sarebbe sopravvissuta alla โmonocultura turisticaโ (Leo J. Wollemborg su La Stampa del 7 marzo 1970.) Giร sentito? Giร , รจ questa la narrazione della morte di Venezia che si รจ affermata dal secondo dopoguerra e continua ad avere il suo fascino. Del resto i telegiornali non li vediamo tutti i giorni piรน volte al giorno?



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