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𝗖𝗘𝗥𝗖𝗛𝗜𝗔𝗠𝗢 𝗗𝗜 𝗙𝗔𝗥𝗘 𝗜𝗟 𝗣𝗨𝗡𝗧𝗢

Aggiornamento: 21 nov 2022

𝗖𝗘𝗥𝗖𝗛𝗜𝗔𝗠𝗢 𝗗𝗜 𝗙𝗔𝗥𝗘 𝗜𝗟 𝗣𝗨𝗡𝗧𝗢, 𝗡𝗢𝗡𝗢𝗦𝗧𝗔𝗡𝗧𝗘 𝗜𝗟 𝗧𝗘𝗠𝗔 𝗖𝗢𝗠𝗣𝗟𝗘𝗦𝗦𝗢

Lo spopolamento di Venezia trae origini lontane negli anni ed avviene per motivi storici, sociali e politici ma la sostanza sta nella demografia.

Dall’esordio di Bre-VE, avvenuto il 20 giugno 2022, abbiamo raccolto il lavoro che avevamo iniziato già dal 2019 e lavorato tantissimo per mostrare l’altra faccia della medaglia che riporta impressa la LOCAZIONE BREVE. La narrazione strumentale degli ultimi anni vede questo utilizzo di immobili accatastati come residenziali, la causa dello spopolamento della città storica; reperendo i dati dal sito del Comune di Venezia e dall’ISTAT, abbiamo dimostrato come tale narrazione non sia veritiera. Qui ci sono articoli e post che ne parlano ma ora li vogliamo riassumere.

Le locazioni brevi hanno subito un impulso notevole attorno al 2015/2016; è una formula di locazione che esiste da sempre ed è prevista dal codice civile (dall’articolo 1571 all’articolo 1654). Prendendo i dati dal sito del Comune di Venezia, abbiamo dimostrato come falsa la litania che attribuisce a questo tipo di locazione la responsabilità dello spopolamento; infatti, nel 2008, anno di fondazione della piattaforma Airbnb, da 174.808 abitanti registrati nel 1951, se ne contano solo 60.311 e nel 2014, quando le locazioni brevi si diffondono, la popolazione contata era già scesa a 56.311. Nei 20 anni di equo canone, dal 1978 al 1998, 30.000 residenti mancano all’appello. Dunque, come si può ancora sostenere che le locazioni brevi hanno cacciato i residenti?

𝗠𝗮, 𝗰𝗼𝗺𝗲 𝗮𝗻𝘁𝗶𝗰𝗶𝗽𝗮𝘁𝗼 𝗮𝗹𝗹’𝗶𝗻𝗶𝘇𝗶𝗼, 𝗾𝘂𝗲𝘀𝘁𝗶 𝗻𝘂𝗺𝗲𝗿𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝘀𝘂𝗳𝗳𝗶𝗰𝗶𝗲𝗻𝘁𝗶 𝗽𝗲𝗿 𝗰𝗼𝗺𝗽𝗿𝗲𝗻𝗱𝗲𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲. Secondo la ricerca condotta e pubblicata nel 2007 da Isabella Scaramuzzi, ex direttrice di Coses, il Consorzio per la ricerca su Venezia (cessato nel 2012): “Le propensioni demografiche, sociali ed economiche sono evidenti, la direzione chiara. Ciò che è avvenuto, nonostante vincoli che sono caduti solo recentemente e nonostante iniezioni da cavallo di denaro pubblico (anche a favore della residenzialità primaria), è destinato ad una pressante accelerazione. Se la demografia spiega due terzi di ogni cosa, già dalla fine del Secolo scorso la struttura della città antica è drammaticamente implosa: non solo ci sono pochissimi giovani per ricambiare gli anziani (anche nella occupazione delle case), ma le classi fertili (capaci di ripopolare) sono sempre meno numerose e alla blanda ripresa della natalità (dovuta ai figli dei baby boomers nati negli anni Sessanta), fatalmente seguirà un flop. Riabitare la città antica non è compito per veneziani: la costante perdita di residenti è ormai attribuibile alla implosione naturale più che al saldo negativo tra chi esce e chi entra, dovuto alle classi successive al baby boom, a meno che raddoppino il numero di figli pro-capite…” E ancora: “Se prendiamo i residenti al 1991 per classi e (con una serie di illazioni che gli statistici ci perdoneranno) proiettiamo in via teorica le classi di età al 2007, quelli che avevano oltre 65 anni (ne hanno oltre 81, la probabilità ci dice che dovrebbero essere vedove sole) potrebbero cedere unità abitative a giovani che lasciano il nido familiare (forse): coloro che avevano tra 15 e 19 anni (ne hanno 31-35) e sono solo 4.000 rispetto a 18.000, meno di 1 su 4. C'è poco bisogno di abitazioni per i veneziani: era assolutamente prevedibile 15 anni addietro…”. E prosegue “…Nel 2007 le classi per età, dei residenti in Città Antica, confermano le nostre rozze previsioni: tra 30 e 34 anni ci sono 3.600 residenti (meno di 16 anni addietro), mentre gli ottuagenari sono ridotti a meno di 5.500 (contro 18.000). Se sommiamo queste due classi, poco oltre i 9.000 residenti, ipotizziamo che il patrimonio abitativo, 'pieno' al 1991 di ottuagenari, sia riempito solo per metà da veneziani di oggi.”

L’ASSOCIAZINE BRE.VE ha ripreso questi dati proiettandoli dall’oggi al 2036. I dati dimostrano che non è cambiato nulla, anzi la situazione si è “incancrenita”: gli anziani sono sempre di più e i giovani sempre meno e i tassi di fertilità sono sempre più bassi. Oggi, nel Centro storico di Venezia, si contano 16.071 abitanti ultra 65enni e 4.161 nella fascia d’età 15-20 anni. Con le stesse proporzioni di 15 anni fa, nel 2036 si stima che vi potrebbero finire sul mercato immobiliare oltre 10.000 abitazioni libere a fronte di poco più di 2.000 giovani nuove famiglie veneziane. Dato, quest’ultimo, estremamente sovrastimato perché i giovani tendono sempre meno a “fare famiglia” e a fare più di un figlio per coppia. Continuare a ripetere che il problema dello spopolamento di Venezia non è una questione demografica significa, semplicemente, continuare nella demagogia più bieca, finendo per strumentalizzare un tema fondamentale per la città e la sua laguna.

Oggi i dati dell’Osservatorio Immobiliare dell’Agenzia delle Entrate dimostrano che i prezzi delle abitazioni nella città storica di Venezia non si discostano molto da quelli di altre città d’arte italiane come Firenze e Bologna; città i cui centri storici contano popolazioni di poco più di 50.000 abitanti. Edifici classificati in condizioni “normali” a Cannaregio, ad esempio, sono valutati tra 3.500-4600 euro al metro quadro. A San Marco la cifra è compresa tra 3.700 e 5.600 euro/mq mentre alla Giudecca il prezzo varia da 2.900 a 3.900 euro/mq. Cifre quasi identiche ai centri storici particolari o di città d’arte come Roma (6.000 euro/mq), Bologna (4.100 euro/mq), Firenze (5.200 euro/mq).

𝗠𝗮 𝗹𝗮 𝘀𝗶𝘁𝘂𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗿𝗶𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗶𝗹 𝗣𝗮𝗲𝘀𝗲 𝗲 𝗻𝗼𝗻 𝗰’𝗲̀ 𝗱𝗮 𝘀𝘁𝗮𝗿𝗲 𝗮𝗹𝗹𝗲𝗴𝗿𝗶 I dati ISTAT sulla popolazione del nostro Paese sono impietosi: il bilancio tra decessi e nascite non danno molto margine al futuro. “…Gli anni ’70 e ’80 sono caratterizzati da una sostanziale riduzione dei flussi migratori verso l’estero e anche di quelli interni. Per la prima volta dall’Unità l’Italia non è più un paese da cui si emigra per cercare maggiore benessere, pur non essendo ancora tra le mete di paesi meno sviluppati. Le modificazioni sociali connesse al più elevato grado di benessere si associano a una 𝘀𝗼𝘀𝘁𝗮𝗻𝘇𝗶𝗮𝗹𝗲 𝗿𝗶𝗱𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗻𝗮𝘁𝗮𝗹𝗶𝘁𝗮̀, che si porta rapidamente su valori prossimi o inferiori a quelli della mortalità: nel 1986 il numero di residenti diminuisce per la prima volta dal 1918. Nel corso degli anni Settanta e più rapidamente nei decenni successivi la popolazione dei centri oltre i 250 mila abitanti tende a diminuire, fino a 8,8 milioni (il 14,8% del totale) nel 2011, soprattutto a vantaggio dei comuni metropolitani di cintura” (https://www.istat.it/.../evoluzione-demografica-1861-2018...) Sempre dallo stesso documento”… 𝗗𝗮𝗹 𝟭𝟵𝟵𝟯 𝗶𝗹 𝘁𝗮𝘀𝘀𝗼 𝗱𝗶 𝗰𝗿𝗲𝘀𝗰𝗶𝘁𝗮 𝗻𝗮𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗲 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮 𝘀𝘁𝗿𝘂𝘁𝘁𝘂𝗿𝗮𝗹𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 𝗻𝗲𝗴𝗮𝘁𝗶𝘃𝗼, riflettendo un livello di fecondità molto al di sotto del Il livello di sostituzione (circa 2,1 figli per donna), così come in Germania e Spagna, mentre la Francia riesce a mantenere livelli più elevati…” Durante i primi anni 2000, l’immigrazione regolare fa registrare un aumento della popolazione e, di conseguenza, anche quello demografico con un incremento, negli anni tra il 2005 e il 2014, di 3.200.000 residenti immigrati. Aumenta la componente straniera e grazie alla loro giovane età, il rapporto sull’invecchiamento della popolazione si calma a favore delle nuove generazioni ma non basta!

Ora, la complessa situazione di Venezia, e del nostro Paese, non può essere affrontata in modo sommario, superficiale o, peggio ancora, ricorrendo a ideologie ammuffite; non può essere una querelle politica ma deve diventare un tema di approfondito studio e per chi ne capisce davvero. Scienza e Politica devono andare a braccetto e trovare la via per il futuro. Continuare a trattare i difficili temi del nostro tempo guardando solo agli effetti e mai alle cause, non fa altro che ingigantire cosa provoca proprio quegli effetti. Non è produttivo, nell’ottica di una rinascita di Venezia, scaricare colpe su chi sta cercando di resistere in una città che non ha più attività se non quelle legate al turismo, grandiosa industria fondamentale per l’economia di tutti (anche di chi si lamenta tutti i giorni) ma che non può essere l’unica fonte di reddito di una comunità.





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