𝗔𝗙𝗙𝗜𝗧𝗧𝗜 𝗕𝗥𝗘𝗩𝗜, 𝗥𝗘𝗚𝗢𝗟𝗘 𝗘 𝗧𝗨𝗥𝗜𝗦𝗠𝗢: 𝗟’𝗧𝗔𝗟𝗜𝗔 𝗥𝗜𝗦𝗖𝗛𝗜𝗔 𝗗𝗜 𝗖𝗢𝗟𝗣𝗜𝗥𝗘 𝗜𝗟 𝗦𝗜𝗡𝗧𝗢𝗠𝗢 𝗜𝗡𝗩𝗘𝗖𝗘 𝗗𝗘𝗟𝗟𝗔 𝗖𝗔𝗨𝗦𝗔
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Negli ultimi anni gli affitti brevi sono diventati uno dei temi più divisivi del dibattito economico e politico. In molti li indicano come la principale causa dell’overtourism, dell’aumento dei prezzi nelle città d’arte e della progressiva espulsione dei residenti dai centri storici. Ma la realtà, a guardarla da vicino, è più complessa e meno ideologica di quanto spesso emerga nel confronto pubblico.
Oggi circa il 90% delle prenotazioni di alloggi brevi in Italia passa da piattaforme digitali (Airbnb, Booking, Vrbo ) obbligate dalla direttiva europea DAC7 a comunicare i dati delle locazioni all’Agenzia delle Entrate. È quindi un comparto altamente tracciato, ben lontano dall’immagine di zona grigia che talvolta gli viene attribuita. Se la stessa trasparenza si applicasse ad altri settori, probabilmente l’evasione non sarebbe una delle principali emergenze economiche del Paese.
L’altro grande tema è quello dell’
. Fenomeno reale, soprattutto in città come Venezia, Firenze e Roma, ma che difficilmente può essere imputato alle piattaforme di affitto o alle stesse locazioni turistiche. I numeri del turismo globale spiegano da soli la portata del cambiamento: nel 2000 si contavano circa 670 milioni di arrivi turistici nel mondo; oggi si sfiora il miliardo e mezzo.
Il turismo non cresce per colpa delle locazioni turistiche ma perché viaggiare è diventato accessibile a una platea sempre più ampia. Le compagnie low-cost, le prenotazioni tramite app sugli smartphone e la mobilità istantanea hanno trasformato il viaggio per pochi facoltosi a diritto percepito per molti.
Gli affitti brevi rispondono a questa nuova domanda: offrono flessibilità, prezzi spesso più contenuti rispetto agli alberghi e un tipo di esperienza diversa, più vicina alla vita quotidiana dei luoghi. Limitare l’offerta di alloggi, però, colpirà il viaggiatore medio, quello che tramite internet controlla i costi per organizzare il proprio viaggio e favorirà gli alberghi, facendo salire i prezzi e restringendo la platea dei viaggiatori. Basta vedere la situazione a New York City dopo le pesanti limitazioni alle locazioni turistiche, per capire che questa strada è quella sbagliata. Oltretutto, il prezzo degli affitti nella Grande Mela continua a crescere, in barba alle aspettative sbandierate dall’amministrazione locale a fronte dei vincoli imposti.
I vincoli in tal senso favoriscono un turismo più elitario, meno diffuso, con effetti regressivi sull’economia locale e una economia sommersa.
C’è poi la questione, spesso evocata, del rapporto tra affitti brevi e mercato delle locazioni a lungo termine. È vero che molti proprietari preferiscono il breve periodo, ma non per motivi speculativi. La legislazione italiana rende l’affitto tradizionale un percorso a rischio: tempi lunghi di recupero del bene, procedure complesse e costi legali elevati. In assenza di un sistema più efficiente e garantista, la locazione breve appare semplicemente come una scelta più sicura e sostenibile per i proprietari.
Il problema, dunque, non è l’esistenza degli affitti brevi, ma l’assenza di una strategia complessiva. Da un lato si moltiplicano le proposte di regolamentazione locale, spesso in chiave punitiva; dall’altro manca una politica capace di gestire i flussi turistici in modo equilibrato nelle città a vocazione turistica che soffrono di più la pressione del turismo.
L’Italia rischia di colpire il sintomo invece della causa: una crescita esponenziale del turismo globale che chiede regole nuove, non divieti vecchi.
Serve una visione che concili libertà d’impresa, tutela dei residenti e sostenibilità dei flussi. Senza, il Paese finirà per soffocare la sua naturale capacità di accogliere e innovare, perdendo, ancora una volta, la propria migliore risorsa: l'Italianità.
𝗠𝗮 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗶𝗼̀ 𝗰𝗵𝗲 𝗮𝗯𝗯𝗶𝗮𝗺𝗼 𝘀𝗰𝗿𝗶𝘁𝘁𝗼, 𝗻𝗼𝗻 𝗲̀ 𝗳𝗮𝗿𝗶𝗻𝗮 𝗱𝗲𝗹 𝘀𝗮𝗰𝗰𝗼 𝗱𝗶 𝗕𝗿𝗲-𝗩𝗲, 𝗺𝗮 𝗶𝗹 𝗿𝗶𝗮𝘀𝘀𝘂𝗻𝘁𝗼 𝗱𝗶 𝘂𝗻𝗮 𝗻𝗮𝗿𝗿𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗶𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮 𝗱𝗮 𝗾𝘂𝗲𝗹𝗹𝗮 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗺𝗽𝗲𝗿𝘃𝗲𝗿𝘀𝗮 𝗶𝗻 𝗱𝗲𝘁𝗲𝗿𝗺𝗶𝗻𝗮𝘁𝗶 ❞𝗰𝗶𝗿𝗰𝗼𝗹𝗶❞, 𝗳𝗿𝗲𝗾𝘂𝗲𝗻𝘁𝗮𝘁𝗶 𝗱𝗮 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝘀𝗲𝗺𝗯𝗿𝗮𝗻𝗼 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘀𝗽𝗮𝘃𝗲𝗻𝘁𝗮𝘁𝗲, 𝗰𝗵𝗲 𝗹𝘂𝗰𝗶𝗱𝗲.




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